Macerie, speranza e una penna al posto di un’arma: perché non possiamo dimenticare l’Afghanistan
- Emanuele Manfredo Fioravanzo

- 15 dic
- Tempo di lettura: 5 min

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di Emanuele Manfredo Fioravanzo
Spesso mi chiedo perché alcune crisi facciano tanto rumore e altre scivolino via nel silenzio. Ho scelto di scrivere dell'Afghanistan oggi perché ho la sensazione che stiamo dimenticando un pezzo di mondo fondamentale. In un contesto globale in cui parliamo tanto di crisi climatica, rischiamo di non vedere chi ne sta pagando il prezzo più alto in luoghi già devastati da decenni di guerre.
L'Afghanistan è un paese che non smette di tremare. Il 2025 sarà ricordato come un anno durissimo: tra catastrofi naturali che si susseguono e un inverno rigido alle porte, la situazione è critica.
Il peso dell'impotenza e la delusione verso l'indifferenza
Quando ho letto i dettagli di questa emergenza ho provato qualcosa che era oltre la semplice tristezza. Era un senso profondo di impotenza misto a delusione. Impotenza perché osservo un paese che vive costantemente nell'abisso dei conflitti, dove la popolazione è già stremata, e vedo la natura accanirsi ancora. Ma soprattutto provo delusione. Delusione nel constatare come noi, dai nostri Paesi occidentali ricchi di risorse, spesso voltiamo lo sguardo altrove.

L'incubo è iniziato tra la fine di agosto e i primi giorni di settembre 2025, quando un violento sisma di magnitudo 6.0 ha devastato l'Afghanistan orientale. Le province di Nangarhar, Kunar e Nuristan sono state messe in ginocchio: oltre 2.200 persone hanno perso la vita e ben 6.700 case sono crollate, lasciando interi villaggi rasi al suolo proprio mentre il Paese affrontava il rientro massiccio di migliaia di rifugiati dai confini vicini.
È frustrante pensare al divario abissale che ci separa: mentre noi diamo per scontati servizi essenziali, cibo e calore, lì mancano le condizioni igieniche minime e le risorse alimentari di base. La mia delusione nasce dalla consapevolezza che ci sono mezzi e ricchezze sufficienti nel mondo per intervenire, eppure spesso manca la volontà politica o l'attenzione mediatica per farlo. Mi chiedo: è accettabile che la dignità umana valga meno a seconda della latitudine in cui si nasce? Per me no. Sentirmi parte di una parte di mondo "fortunata" che però dimentica chi è rimasto indietro mi spinge a scrivere, per non essere complice di questo silenzio.
La testimonianza di Omar Khail, un uomo di 60 anni sopravvissuto a queste tragedie, riassume gli effetti devastanti di questo sisma per la popolazione:
Non abbiamo più una casa, né terra... Non abbiamo nemmeno abbastanza soldi per comprare una tenda e montarla da qualche parte.
Tra macerie e futuro negato
Oltre alle macerie visibili, ci sono quelle invisibili. I terremoti hanno creato quella che il Dott. Tajudeen Oyewale, Rappresentante UNICEF, ha definito "la tempesta perfetta per una catastrofe sanitaria". Le scosse hanno distrutto le reti idriche vitali: in molte comunità manca il sapone, le latrine sono inagibili e le famiglie sono costrette a bere acqua non sicura, esponendo i bambini al rischio letale di diarrea acquosa acuta e colera.

Ma come si può andare a scuola se la terra sotto i piedi crolla? L'incubo è tornato il 3 novembre 2025. Una scossa di magnitudo 6.3 ha colpito il Nord del Paese nel cuore della notte. Sebbene il bilancio delle vittime sia stato inferiore rispetto al terribile sisma di agosto all'Est, l'impatto psicologico è devastante. Oltre 90 scuole sono state danneggiate. Per un bambino, vedere la propria classe distrutta significa perdere l'unico rifugio di normalità. Significa perdere il diritto di essere solo un bambino.
Pensare ai bambini afghani, in questo contesto, è ciò che fa più male. Mi è capitato spesso di vedere foto di giovanissimi abbandonati a se stessi o, peggio, con delle armi in mano, reclutati troppo presto in conflitti che non dovrebbero riguardarli. È un'immagine che non riesco ad accettare. Il mio desiderio è ribaltare quella fotografia: vorrei poter pensare che questi bambini, anziché un fucile, possano stringere tra le mani una penna o una matita. La penna è uno strumento potente, l'unico capace di mettere nero su bianco idee e creatività, l'unico vero passaporto per il futuro.
Contro la retorica della sfiducia
Di fronte a queste notizie provo rabbia anche verso un certo modo di pensare. Spesso sentiamo dire che gli aiuti umanitari non servono, che "tanto non cambia nulla" o che le organizzazioni umanitarie non risolvono i problemi. Questa retorica della sfiducia è pericolosa e demotivante. Sostenere che aiutare sia inutile significa condannare intere popolazioni all'oblio. Essere bambini e vivere nella sofferenza ogni giorno, senza speranza, senza un futuro e senza dignità, è inaccettabile. Credo fermamente che prevedere aiuti umanitari non sia un'opzione, ma un dovere per generare un vero motore di cambiamento.
Nonostante questo, mentre si scavava tra le macerie, l'UNICEF e l'OMS non si sono fermati. Il 18 novembre 2025 si è conclusa una campagna storica: oltre 16,6 milioni di bambini sono stati vaccinati contro il morbillo e 4 milioni contro la poliomielite.
Leggere questo numero mi ha ridato speranza. Sapere che 16 milioni di bambini hanno ora una protezione concreta, una possibilità in più di sopravvivere, è la dimostrazione che l'aiuto funziona eccome. Senza cure, senza farmaci, il futuro di questi bambini sarebbe perso in partenza. Garantire il diritto alla salute è il primo passo per garantire poi quello all'istruzione e alla libertà di espressione.
Cosa possiamo fare noi?
La battaglia non è finita. Aver protetto milioni di bambini dal morbillo è una vittoria fondamentale, ma ora gli operatori umanitari sono impegnati in una corsa contro il tempo per garantire ripari caldi e acqua pulita prima che l'inverno diventi insopportabile.
Le crisi climatiche e le calamità naturali colpiscono sempre più duramente le fasce più vulnerabili della popolazione, ma non è accettabile che siano i bambini a pagarne il prezzo più alto. Garantire loro un tetto, cure mediche e istruzione anche durante le emergenze non è solo un atto di solidarietà: è l'unico modo per riconoscere e valorizzare concretamente i loro diritti.
Ho scritto questo pezzo per dire che non dobbiamo voltarci dall'altra parte. Informare, conoscere, prevenire e, soprattutto, donare il proprio cuore oltre che risorse materiali. Non lasciamo che l'Afghanistan diventi solo un'altra "crisi dimenticata" in un mondo distratto. Trasformiamo la nostra compassione in azione, perché ogni bambino merita di tenere in mano il proprio futuro, e non un'arma.
Mantenere alta l'attenzione su queste crisi e fornire un supporto concreto alle operazioni sul campo rimane l'unica via per trasformare la compassione in un cambiamento reale e duraturo per il futuro dell'Afghanistan.
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