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Sicilia in fiamme: tra siccità, illeciti e la voce dei giovani che non vogliono più stare zitti


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Ezekiel Bleoue

In Sicilia, ormai da diversi anni, ogni estate è un incubo che si ripete. Il caldo torrido, la pioggia che non arriva per mesi, il vento che soffia forte: tutto sembra fatto apposta per trasformare l’isola in una polveriera. E puntualmente, il fuoco arriva. Brucia i boschi, le campagne, le case. A volte anche la speranza.

Dietro quegli incendi non c’è solo la natura che impazzisce? No, c’è anche la mano dell’uomo. E troppo spesso, quella mano sa bene cosa fa.


La siccità in Sicilia è diventata una compagna fissa. Anni interi con piogge quasi assenti, fiumi a secco, campi agricoli ridotti in deserto. Le temperature superano i 40 gradi anche per settimane. I contadini guardano il cielo, aspettano l’acqua, ma l’acqua non arriva. E quando il terreno è così asciutto, basta poco: una scintilla, una sigaretta accesa o, peggio, qualcuno che decide di far partire tutto di proposito.


Sì, perché il fuoco, a qualcuno, fa comodo. In Sicilia si sa dove c’è disordine, c’è sempre qualcuno pronto a guadagnarci. Qualcuno che, da sempre, ha capito che controllare il territorio non significa solo gestire traffici o affari loschi. Significa anche decidere cosa deve vivere e cosa deve bruciare.

Bruciare un bosco può voler dire liberare un’area, far pressione su un sindaco, bloccare un progetto di tutela, o semplicemente creare il caos per poi offrire “soluzioni” , a volte con soldi pubblici. Ci sono interessi nei fondi antincendio, nel rimboschimento, nella gestione delle emergenze. In Sicilia, anche il fuoco può diventare un affare.


Davanti a tutto questo, ci sarebbe da scoraggiarsi. E invece no. In mezzo alla rabbia e alla rassegnazione, c’è una parte di Sicilia che non ci sta più. Sono soprattutto i giovani a dire basta.

Ragazzi e ragazze che si attivano, denunciano, documentano, si organizzano. Che partecipano a manifestazioni, puliscono sentieri, parlano con le istituzioni, ma soprattutto tra di loro. Che capiscono che se la Sicilia brucia, non è solo colpa del clima, ma anche di chi se ne frega, di chi fa finta di non vedere, di chi lascia che tutto vada letteralmente in fumo.

Ci sono collettivi ambientalisti, gruppi nati dal basso, pagine social che raccontano quello che succede davvero. Giovani che pretendono risposte, che vogliono proteggere la loro terra, che non vogliono più sentirsi dire che “tanto è sempre stato così”.


La verità è che non ci sarà futuro in Sicilia se non impariamo a difenderla. E non è solo un problema di alberi o di animali. È un problema di dignità. Di giustizia. Di diritto a restare.


I giovani siciliani lo hanno capito. E mentre i potenti giocano con il fuoco, loro provano a spegnerlo. Con le parole, con le azioni, con la voglia di cambiare le cose davvero. Non vogliono salvare solo i boschi. Vogliono salvare la possibilità di costruire un domani, qui, senza dover scappare.

Perché una Sicilia che non brucia è una Sicilia che può ancora sperare.

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