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Moda sostenibile: dalla consapevolezza all’azione – un cambiamento necessario per il futuro del pianeta

Aggiornamento: 17 apr


eco-friendly fashion
by Freepick

di Lara Savini

Negli ultimi anni, nel nostro piccolo, siamo diventat* tutt* un pò fashion blogger. Scorriamo i social, vediamo un vestito carino, lo aggiungiamo al carrello, e in 24 ore è già a casa. Ma vi siete mai chiest* quanto costa davvero quel vestito? E no, non parliamo solo del prezzo sul sito.

Il sistema dell’ultra fast fashion è ampiamente diffuso nel mondo occidentale, noi consumatori/rici lo diamo quasi per scontato, ma i costi ambientali e sociali di questo business ci devono far ricordare che non solo c’è un’alternativa ma che è anche estremamente necessaria.


👕 Fast fashion: quando la moda è troppo veloce (e pericolosa)


Il fast fashion è un sistema di produzione di abbigliamento estremamente rapido, economico e spesso altamente inquinante. Si producono tantissimi capi ogni giorno, con materiali scadenti e spesso in condizioni di lavoro terribili, per essere venduti a pochi euro… e buttati poco dopo.

Il settore dell’abbigliamento online, ricorda Greenpeace, è fra i più rilevanti dell’e-Commerce Business to Consumer (B2C) italiano. Giovani, digitale e fast fashion sono i tre assi che spingono la crescita del mercato della moda nel mondo. Solo il 3% della moda è però circolare e appena l’1% dei nuovi vestiti viene prodotto a partire da abiti vecchi, mentre ogni secondo un camion pieno di indumenti finisce in discarica o nell'inceneritore. L’industria della moda è tra i settori produttivi più inquinanti, un sistema che utilizza enormi quantità di materie prime: soltanto nell’UE, il consumo di prodotti tessili risulta il quarto settore per impatto su ambiente e clima, il terzo per consumo d’acqua e di suolo.


Abiti venduti e resi subito. Accessori progettati per durare una stagione soltanto e destinati a rompersi nel giro di poche settimane, per poi finire in discarica o nel Sud del mondo. Con produzione di massa, bassa qualità e prezzi irrisori, l’industria del fast fashion genera enormi quantità di rifiuti e inquinamento.


🌍 Moda e ambiente: numeri che fanno paura


Ogni anno, solo in Europa, vengono buttati 6 milioni di tonnellate di vestiti, 11kg di scarti di vestiti a persona, i quali finiscono spesso nelle grandi discariche di paesi lontani come il Ghana, in cui ogni settimana ne arrivano 15 milioni provenienti da paesi occidentali. Circa il 40% di questi capi viene bruciato, producendo enormi danni ambientali e non solo. In effetti, il fast fashion è responsabile per il 10% delle emissioni del gas serra globali: è quanto emerso dall’indagine condotta dall’Unità Investigativa di Greenpeace Italia che per quasi due mesi, in collaborazione con la trasmissione televisiva Report, ha tracciato i viaggi compiuti da alcuni capi d’abbigliamento del settore del fast fashion acquistati e resi tramite piattaforme di e-commerce, svelando una filiera logistica schizofrenica e il devastante impatto ambientale in termini di emissioni di CO2. Le aziende del fast fashion promuovono la loro presunta sostenibilità e il rispetto di migliori condizioni di lavoro, dichiarando nelle etichette che i loro capi d’abbigliamento sono prodotti con una minore impronta ecologica. Lo chiamano greenwashing*, ma di green non ha davvero nulla.


🧠 Ma allora… che si fa?


Niente panico: non devi rinunciare al tuo stile per essere sostenibile.

Essere sostenibili non significa essere fuori moda, ma scegliere chi vogliamo essere e che mondo vogliamo costruire. Ogni volta che scegli un capo con consapevolezza, stai votando con il tuo portafoglio per un futuro più giusto. Anzi, puoi fare la differenza con piccole scelte quotidiane.


👗 Acquista meno e in modo più consapevole


Noi, come singoli individui, sicuramente potremmo smettere e/o ridurre gli acquisti nei negozi fast fashion. In primis perché questa tipologia di negozi distrugge la nostra unicità, conducendoci all’omologazione. Infatti, non si sceglie più un capo ma una divisa collettiva con tessuti scadenti, facendoci perdere di personalità. Inoltre, questa tipologia di negozi ci rende dipendenti dal consumo compulsivo: più compriamo, meno possediamo davvero, abituandoci alla frenesia dei nuovi acquisti (spesso non necessari). Quando fai shopping, fallo in modo consapevole: chiediti se quel capo ti serve davvero, se lo userai più volte, o se è di buona qualità.


🌱 Scegli brand sostenibili


Prediligere l'acquisto di capi d’abbigliamento sostenibili e con un basso impatto ambientale, considerando il loro intero ciclo di vita e la carbon footprint*. Questi prodotti hanno un’impronta ecologica bassa, poiché realizzati secondo i principi dell’eco design e dell’economia circolare.  Esistono marchi che usano materiali naturali o riciclati, producendo in modo etico e trasparente. Cerca prodotti fatti con cotone biologico, lana e con fibre riciclate come il poliestere riciclato o altre fibre eco. E cerca prodotti che utilizzano metodi di produzione a basso impatto ambientale, a basse emissioni di CO2 nelle fasi di trasporto e di vendita attraverso il sistema della filiera corta.


♻️ Second hand is cool


Comprare usato oggi non è più solo una pratica per chi vuole risparmiare: è diventata una vera tendenza, creativa e super sostenibile. Il mondo del second hand sta vivendo un boom pazzesco grazie a mercatini, negozi vintage e app dedicate. Quando scegli un capo usato, non solo eviti che finisca in discarica, ma ti porti a casa qualcosa con una storia, spesso introvabile nei negozi fast fashion. È come partecipare ad una caccia al tesoro: trovi pezzi originali, magari firmati, che ti distinguono dalla massa.

In più, il second hand ti permette di risparmiare, il che non guasta, soprattutto se vuoi sperimentare con il tuo stile senza svuotare il portafoglio. E se hai l’armadio pieno di cose che non usi più? Rivenderle online ti permette di dare loro una seconda vita e guadagnarci qualcosa. Insomma, è un win-win.


🌍 Le regole stanno finalmente cambiando


Organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e la Commissione Europea stanno cercando di cambiare le regole dell’industria della moda, spingendo verso un modello più circolare. Questi organismi lavorano per proteggere il pianeta, fissando obiettivi concreti: salvare risorse naturali come acqua e suolo; ridurre l'inquinamento da microplastiche; fermare la distruzione di capi invenduti o restituiti; promuovere uno shopping etico e obbligare i brand ad essere più trasparenti su modalità e luogo di produzione dei vestiti.

Uno strumento europeo utile è il “passaporto digitale del prodotto”: un’etichetta smart che racconta l'intero ciclo di vita di un capo, così da poter decidere in modo consapevole.


Insomma, qualcosa sta cambiando a livello politico ma come ogni grande cambiamento, senza consapevolezza dell’opinione pubblica non basta. Ecco perché è importante essere informat* e fare la nostra parte attraverso ogni piccola scelta quotidiana. Anche l'acquisto di una semplice t-shirt può rappresentare un atto politico, promuoviamo una moda sostenibile!


* Il greenwashing è una pratica di marketing che consiste nel presentare un prodotto, un'azienda o un servizio come più sostenibile di quanto non sia in realtà. L'obiettivo è ingannare i consumatori per trarne un vantaggio competitivo. 

*Per calcolare l’impronta ecologica viene preso in considerazione tutto il ciclo di vita di un prodotto, tenendo conto ad esempio delle materie prime usate per la fabbricazione, le emissioni generate con il trasporto e l’impatto ambientale dovuto allo smaltimento. Nel dettaglio, le fasi della carbon footprint sono: l'estrazione e lavorazione delle materie prime, la produzione dei prodotti, la fase di packaging e trasporto, l'utilizzo del prodotto da parte dei consumatori, infine la fase di riciclo, riutilizzo o smaltimento.



Fonti:



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