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La schiavitù della bellezza

Aggiornamento: 31 ott 2021

(English version below)

In tutto il mondo, il concetto di supremazia razziale ha influenzato negativamente la vita di milioni di persone. Negli Stati Uniti, sono soprattutto gli afroamericani a essere stati vittimizzati sulla base del colore della loro pelle e per molti autori di colore la letteratura è diventata un importante veicolo per rappresentare questa situazione, esponendone la disuguaglianza e l'ingiustizia sociale. The Bluest Eye, scritto da Toni Morrison, una delle mie scrittrici preferite, mette in luce come lo standard di una perfetta bellezza bianca, capelli biondi e occhi azzurri, abbia influenzato la vita di una generazione di ragazzine afro-americane, votandole ad un ideale irraggiungibile, e portandole a disprezzare il proprio aspetto e ad ignorare la propria bellezza.

Nel romanzo, Toni Morrison (pseudonimo di Chloe Ardelia Wofford) propone una nuova interpretazione dell'identità femminile afroamericana, esaminando il problema di crescere neri e femmine in una società che equipara la bellezza al bianco degli occhi azzurri. La protagonista, Pecola Breedlove, vive un'infanzia di abusi e violenze, e la sua ossessione per quella bellezza ideale la porta tragicamente all'autodistruzione. Il romanzo segue il periodo di tempo dell'infanzia di Morrison, l’America degli anni ‘40, e descrive la realtà di un contesto culturale emarginato che probabilmente ha vissuto in prima persona da bambina.

L'ideale dominante della bellezza bianca e della perfezione estetica derivava dalla cultura pop americana degli anni '30 e '40, in cui la pubblicità dei media spesso inducevano gli afroamericani a mettere in dubbio il loro valore. Tutti i personaggi del romanzo sono costantemente sottoposti a immagini di irraggiungibile bellezza bianca propugnata nei film, libri, riviste, giocattoli e persino attraverso il packaging della maggior parte dei beni di consumo disponibili in quel periodo. Shirley Temple e la sua bellezza simile di bambola bionda sono un motivo ricorrente e un'ossessione per i protagonisti del libro. La signora Breedlove trascorre le sue giornate disperate al cinema ammirando le attrici bianche, desiderando invano di poter accedere al loro mondo, perpetuando il suo senso di inferiorità e commiserazione.


La storia mette in luce l’etnocentrismo istituzionalizzato del logos dei bianchi e il modo in cui gli standard bianchi sono intrecciati nella trama stessa del tessuto della storia americana. Ho trovato molto interessante questo libro, la cui lettura e’ a tratti sconvolgente per la crudezza di certe descrizioni di violenza. Il punto di vista che offre sull’immagine di se’ delle giovani donne afroamericane del secolo scorso aiuta a capire fenomeni attuali ancora oggi.


Purtroppo nella nostra società, vige ancora la “supremazia” di un modello di bellezza che spinge a desiderare un determinato aspetto anche chi, per origine, ne possiede un altro. Spesso con un costo psicologico e sociale molto alto.


Molti credono ancora che la pelle chiara sia simbolo di successo, fortuna, soldi, e popolarita'. Per questo, si sottopongono a trattamenti inutili e pericolosi, che promettono una carnagione piu' chiara, in linea con i modelli propugnati dalla pubblicita' e dai social. I rischi sanitari legati all'uso di questi prodotti cosmetici sono elevatissimi.

Perche', dopo anni di battaglie razziali, sostenute oggi anche da grandi leader moderni come Michelle e Barack Obama, Oprah Winfrey e la splendida Amanda Gorman, i giovani di colore fanno fatica ad accettare la loro identita' e a celebrarla?

Il mondo ha davvero fatto dei passi avanti da quando un idolo come Michael Jackson, adorato da milioni di fan in tutto il mondo, sentiva ancora la schiavitu' di sottoporsi ad interventi di chirurgia plastica che promettevano di renderlo piu' "ariano"? Purtroppo, no. E' come se certi canoni estetici fossero iscritti nel DNA della nostra cultura, derivando da secoli di imposizioni frutto di un potere dominante fortemente razzista e suprematista.


Io credo che la bellezza non dovrebbe mai essere soggetta ad uno stereotipo generalizzato, ad un ideale di perfezione a cui aspirare, per nessuno di noi. Per fortuna a livello nazionale e internazionale, si moltiplicano le voci sulla necessità di "decolonizzare la bellezza" e anche nel mondo della pubblicità, della moda e del make up qualcosa sta cambiando.

Spero in un futuro in cui tutti possano riconoscere la varietà che crea bellezza nel mondo: ogni singola caratteristica personale, tutto ciò che ci rende veramente unici e speciali, fa parte della bellezza che ognuno di noi può trasmettere, a prescindere dalla sua provenienza, dai tratti somatici o dal colore della pelle.

 

The slavery of beauty


Across the world, the concept of racial supremacy has adversely shaped the lives of millions of people. In the United States, it is mainly Africans and African-Americans who have been victimized on the basis of their skin color, and for many black authors, literature has become an important vehicle for representing this situation, exposing its inequality and social injustice. The Bluest Eye, written by Toni Morrison, one of my favorite writers, highlights how the standard of perfect white beauty, blonde hair, and blue eyes, has influenced the lives of a generation of African-American girls, voting them for an ideal. unattainable, and leading them to despise their appearance and ignore their beauty.


In the novel, Toni Morrison (pseudonym of Chloe Ardelia Wofford) proposes a new interpretation of the African American female identity, examining the problem of growing up black and female in a society that equates beauty with blue-eyed whiteness. The protagonist, Pecola Breedlove, lives a childhood of abuse and violence, and her obsession with that ideal beauty leads tragically to her self-destruction. The novel follows the time period of Morrison's childhood, America in the 1940s, and describes the reality of a marginalized cultural context that she probably experienced firsthand as a child.


The dominant ideal of white beauty and aesthetic perfection stemmed from the American pop culture of the 1930s and 1940s, in which media advertising often caused African Americans to question their worth. All the characters in the novel are constantly subjected to images of unattainable white beauty advocated in films, books, magazines, toys, and even through the packaging of most of the consumer goods available at that time. Shirley Temple and her similar doll-like beauty is a recurring motif and obsession amongst the book's protagonists. Ms. Breedlove spends her desperate days in the cinema admiring white actresses, wishing in vain to access their world, perpetuating her perceived sense of inferiority.


The story highlights the institutionalized ethnocentrism of the white logos and how white standards are woven into the very texture of the fabric of American history. I found this novel very interesting, the reading of which is at times shocking due to the crudeness of certain descriptions of violence. The point of view it offers on the self-view of young African-American women of the last century helps us to understand significant phenomena today.


Unfortunately, in our society, a canon of beauty still exists, which pushes even those who, by origin, have another one. This supremacy may force the desire for a certain aspect, often associated with a very high psychological and social cost.


Many still believe that fair skin is a symbol of success, luck, money, and popularity. Because of this, many who cannot achieve this ‘standard of beauty’ undergo useless and dangerous treatments, which promise a clearer complexion, in line with the models in advertising and social media. The health risks associated with the use of these cosmetic products are very high.


Why is it that after years of racial battles, supported today even by great modern leaders such as Michelle and Barack Obama, Oprah Winfrey, and the beautiful Amanda Gorman, are young people of color having a hard time accepting their identity and celebrating it?

Has the world made progress since an idol like Michael Jackson, adored by millions of fans around the world, who still felt the slavery of undergoing plastic surgery that promised to make him more "Aryan"? Unfortunately not. It is as if certain aesthetic canons were inscribed in the DNA of our culture, deriving from centuries of impositions resulting from a strongly racist and supremacist dominant power.


I believe that beauty should never be subject to a generalized stereotype, to an ideal of perfection to which any of us aspire. Fortunately, at a national and international level, ideas of "decolonizing beauty" are multiplying, also in the world of advertising, fashion and make-up.


I hope for a future where everyone can recognize that variety creates beauty in the world: every single personal characteristic, everything that makes us truly unique and special, is part of the beauty that each of us can convey, regardless of one’s origin, facial features or skin color.

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