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Ripensare l’educazione per prevenire la violenza: modelli innovativi per una società più giusta e inclusiva

Aggiornamento: 30 mag


Tessere gialle con scritta "education"
@Creative Commons

di Ezekiel Bleoue - Youth Advisory Board

Stiamo vivendo un tempo di profonde trasformazioni sociali, eppure l’educazione sembra ancora legata a modelli superati, incapaci di rispondere alle esigenze dei/lle giovani e di contrastare fenomeni sempre più inquietanti come la violenza giovanile. Se davvero vogliamo immaginare una società più giusta e pacifica, dobbiamo ripensare l'approccio educativo. Serve un modello potente, capace di ispirare cambiamento, giustizia e consapevolezza civica.


Un esempio illuminante arriva dalla Colombia degli anni '70 con il progetto Escuela Nueva. Questa iniziativa ha dimostrato che un approccio collaborativo e centrato sullo studente può spezzare il ciclo dell’emarginazione sociale. In queste scuole, i/le ragazzi/e imparano insieme, sviluppando empatia e capacità di risolvere i problemi in modo cooperativo. In un contesto italiano segnato spesso dall’isolamento sociale e dall’alienazione urbana, un modello simile potrebbe restituire fiducia, responsabilità e senso di comunità. Immagina se nelle scuole italiane esistessero programmi di apprendimento collaborativo, dove il lavoro di gruppo e la risoluzione condivisa dei problemi diventano il cuore del percorso educativo.


Ma la vera rivoluzione educativa va oltre le mura scolastiche. A Reggio Emilia, l’esperienza della IEXS con il suo approccio esperienziale dimostra quanto sia potente il “learning by doing” e lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. L’educazione, in questa visione, non è solo trasmissione di nozioni, ma un percorso di crescita personale e relazionale. In una società frammentata dall’indifferenza e dalla rabbia, imparare a comprendere se stessi/e e gli/le altri/e è essenziale. E se l’educazione emotiva diventasse una materia obbligatoria dalle elementari alle superiori? Un percorso strutturato per riconoscere e gestire le emozioni potrebbe ridurre notevolmente i rischi di comportamenti violenti.


Un modello altrettanto innovativo è rappresentato dall’iniziativa “Università di Strada”, promossa da UNIEDA. Questo progetto porta la formazione fuori dalle aule, avvicinando l’educazione a chi vive in situazioni di emarginazione. Attraverso laboratori e incontri tematici, si promuove la cittadinanza attiva e si combatte l’analfabetismo funzionale, restituendo dignità e inclusione sociale. Pensa a spazi educativi urbani nelle periferie italiane: luoghi sicuri dove i/le ragazzi/e possono apprendere competenze tecniche e sociali, lontano dai pericoli della strada.

Accanto a tutto questo, l’Outdoor Education rappresenta un ritorno necessario al contatto con la natura. Lontano dalle quattro mura di un’aula, gli/le studenti/esse riscoprono il valore delle relazioni umane e della connessione con l’ambiente. È un percorso che educa al rispetto, alla cura, prevenendo comportamenti distruttivi e favorendo la collaborazione tra pari. E se l’educazione ambientale diventasse una parte integrante del percorso scolastico, con una settimana al mese dedicata esclusivamente all’apprendimento all’aperto?


La vera rivoluzione, però, risiede nel metodo di Paulo Freire: il Problem-Posing. In questa visione, l’educazione non è una semplice trasmissione di informazioni, ma un dialogo critico tra studenti/esse e insegnanti. È un atto di liberazione, un risveglio di coscienza che trasforma i/le giovani in cittadini/e attivi/e e consapevoli. Perché non immaginare un corso di “Giustizia Sociale e Partecipazione Civica” in ogni scuola, per educare i/le ragazzi/e a riconoscere le disuguaglianze e a lottare contro di esse?


L’urgenza di questa trasformazione educativa è diventata tragicamente evidente con l’ultimo episodio di violenza giovanile a Monreale, Palermo. Tre ragazzi brutalmente assassinati: un evento che ha scosso l’intera comunità e che ci costringe a chiederci dove stiamo fallendo. Parte della risposta è in un sistema educativo che non riesce a educare al rispetto, all’empatia e alla gestione delle emozioni. Per questo, ogni scuola dovrebbe avere sportelli di ascolto e mediazione, luoghi di prevenzione dove psicologi e mediatori possano intercettare segnali di disagio prima che si trasformino in violenza.


Investire in un’educazione potente significa prevenire tragedie come quella di Monreale e contribuire a costruire una società più giusta e pacifica. I modelli ci sono, le proposte concrete anche. Ora serve la volontà di agire.



Fonti


Logo di U-report on the Move
Logo dei Sustainable Development Goals
Logo di U-report on the Move
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Le opinioni riportate negli articoli di questo blog non riflettono necessariamente le posizioni ufficali dell’UNICEF ma sono espressione libera dei e delle giovani Bloggers

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