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Il passo falso: la guerra infinita delle mine antiuomo


una bambina di spalle, in un territorio di guerra, con macerie e pappagalli verdi in cielo
@AI generated content

di Annachiara Banzoli

I/le bambini/e giocano nei pressi del villaggio, si rincorrono nei campi noncuranti della polvere che si attacca ai vestiti. Poi, dal cielo, una pioggia di oggetti lievi, colorati, curiosi. Sembrano farfalle, sembrano pappagallini verdi, giocattoli.

Sono trofei per quei/lle piccoli/e, da rigirare tra le dita con ammirazione: non capita tutti i giorni di trovare un tesoro.


Khalil ha raccolto una di queste meraviglie nella campagna afghana.

Ashad ha calpestato uno di questi tesori facendo pascolare le mucche in Iran. Khalil lo mostra agli amici, Ashad non ne ha il tempo, forse nemmeno si accorge di quel passo distratto.


E all’improvviso: il buio.


Urla, sangue e un mondo che esplode: è la guerra infinita delle mine antiuomo.


Dopo il conflitto: un’eredità che esplode


Dopo ogni guerra c’è chi deve ripulire. In fondo un po’ d’ordine da solo non si fa [...] Non è fotogenico e ci vogliono anni. Tutte le telecamere sono già partite per un’altra guerra. [...] C’è chi talvolta dissotterrerà da sotto un cespuglio argomenti corrosi dalla ruggine e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti. Chi sapeva di che si trattava, deve far posto a quelli che ne sanno poco. E meno di poco. E infine assolutamente nulla. Sull’erba che ha ricoperto le cause e gli effetti, c’è chi deve starsene disteso con la spiga tra i denti, perso a fissare le nuvole.

Cosa succede quando finisce una guerra? Che ne è di chi resta, quando le telecamere se ne vanno? La poetessa polacca Wislawa Szymborska, nella sua poesia "La fine e l’inizio", descrive con lucidità tagliente il momento in cui la guerra “termina”. L’erba ricresce, gli animali tornano, i bambini giocano. Ma è proprio sotto quella fragile rinascita che la guerra continua.

Continua silenziosa, sotterranea, e a farne le spese sono i civili, il più delle volte bambini e bambine. Perché quel campo in cui Khalil non è libero dai pericoli. Perché quella strada che conduce Ashad al pascolo è, in realtà, un campo minato.

Quelle mine sono l’eredità di una guerra tante volte già finita sugli schermi e nelle notizie. Un’eredità che però esplode ancora.


Istruzioni di distruzione: armi a rallentatore


Le mine antiuomo sono armi di distruzione di massa “a rallentatore”.

Nate per scopi militari durante guerre di posizione, vengono disseminate manualmente o lanciate da elicotteri, restando attive per decenni e colpendo la popolazione civile anche dopo la fine dei conflitti.


L’obiettivo delle mine antiuomo non è quello di colpire i soldati, ma quello di indebolire la popolazione tutta. I campi minati bloccano l’accesso a pozzi, scuole e campi per il rifornimento alimentare. Sono usati come armi verso i civili e come strumento di terrore per isolare i villaggi, piegare le popolazioni, portare sofferenza che indebolisca il nemico fin nelle più profonde retrovie. Le mine antiuomo hanno, nella maggior parte dei casi, un diametro inferiore ai 10 centimetri.

Alcune sono invisibili, nascoste nel terreno, attendono che un piede ignaro le faccia scattare. Altre sono colorate, leggere e ricordano giocattoli, fiori o frutti e attirano bambini e bambine che, incuriositi, si avvicinano e le raccolgono.


Mine create appositamente per attirare lo sguardo vivace dell’infanzia.

Davanti a questa realtà, l’unica espressione possibile è quella di Gino Strada nella sua cronaca Pappagalli Verdi:

Mine giocattolo, studiate per mutilare bambini. Ho dovuto crederci, anche se ancora oggi ho difficoltà a capire.

Risparmio ed efficienza: il paradosso delle mine antiuomo


Se costruire una mina costa circa 3 dollari, bonificare quella stessa mina può costare fino a 1.000 dollari.


Un investimento minimo per disseminare morte contro un investimento enorme per tentare di riportare la vita.


Il progresso tecnologico, ammesso che di progresso si possa parlare, invece di portare alla dismissione di queste armi, ha prodotto innovazioni che rendono estremamente difficile, se non impossibile, disinnescarle.


L’ingegno umano nella sua veste più crudele ha infatti iniziato a produrre mine in plastica, con impercettibili quantità di metallo, quasi impossibili da individuare con strumenti che non siano estremamente sofisticati.


Le mine moderne inoltre sono state create per essere in grado di resistere a un lancio aereo senza esplodere e ciò ha reso e rende possibile il collocamento a distanza di tali strumenti, velocissimo e con la più ampia diffusione possibile.


È l’infida sfida delle mine antiuomo: invisibili, efficienti, economiche da usare e creare, difficili e costose da trovare e bonificare.


Un passo di civiltà: il Trattato di Ottawa

Un piccolo passo di civiltà nell’aberrante panorama delle mine antiuomo si ha nel 1997, anno in cui, grazie a una vasta mobilitazione internazionale, viene aperta per la firma la Convenzione sulla proibizione dell’uso, dello stoccaggio, della produzione e del trasferimento delle mine antipersona e sulla loro distruzione, nota anche come Trattato di Ottawa.

Promosso dalla ONG International Campaign to Ban Landmines (che per tale motivo ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace), il trattato segna un punto di svolta poiché per la prima volta gli stati tentano un accordo per bandire per sempre un’intera categoria di armi.

I paesi firmatari si impegnano a: non produrre e utilizzare mine antiuomo; distruggere tutte le scorte di mine entro 4 anni dall’ingresso nell’accordo; bonificare i territori minati entro 10 anni e fornire assistenza medica alle vittime.


Anche l’Italia ha aderito e ha dismesso produzione e commercio di queste armi, partecipando a progetti di sminamento e assistenza in vari Paesi.

Ma l’efficacia del trattato è limitata. Infatti, alcuni paesi come Stati Uniti, Russia, Cina, India e Pakistan non hanno mai firmato e in alcuni conflitti recenti le mine sono state usate, violando i principi del diritto internazionale.


La guerra che resta: una strada ancora in salita

Ogni anno oltre 5.000 persone restano vittime di mine o residuati bellici. La maggior parte sono civili. Una vittima su due è un* bambin*.

Le mine antiuomo non fanno rumore. Non hanno bandiere. Non distinguono tra guerra e pace.

Sono la memoria sotterranea di un conflitto che resta, di una guerra infinita.

E allora la domanda di Wislawa Szymborska ritorna, più attuale che mai. Cosa succede dopo una guerra? Chi ripulisce? Chi resta?

Eliminare completamente le mine antiuomo è difficile, ma un passo avanti è necessario perché nessun* bambin* raccolga più un giocattolo esplosivo, perché nessun* bambin* perda più la vista correndo in un campo, perché nessun essere umano faccia più un passo falso sopra una mina inesplosa. Fonti:


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